Oggi in prima pagina su "La Repubblica" un interessante articolo
affronta il tema della magrezza esasperata nel mondo del ciclismo
nell'estrema ricerca di un miglior rapporto peso-potenza. Una tendenza
al dimagrimento che comincia a sfiorare l'ossessione. Nello stesso
articolo il dott. Giuliano, medico sportivo, afferma che l'esasperazione
di questa tendenza può portare a
patologie psichiatriche, come già successo in passato
1.
È facile che l'ossessione verso un risultato di natura sportiva, magari
unito al desiderio di una percezione estetica ritenuta "migliore" possa
indurre a valicare quella linea di confine oltre la quale lo sport
smette di essere una sana passione, o una sana competizione, anche di
alto livello, per diventare esso stesso l'avversario contro cui
battersi.
In queste circostanze è facile che l'ossessione per l'attività fisica degeneri anche nel problematico abisso dei
disordini alimentari e l'
abuso di farmaci. Ne avevamo recentemente parlato su NonSoloFitness.it in occasione dell'uscita del libro
"Vigoressia, quando il fitness diventa ossessione", con un articolo dal titolo emblematico
60.000 Italiani malati di fitness
che, a fronte di un gran numero di commenti e richieste di
approfondimento, aveva portato anche qualche critica da parte di chi
superficialmente si è sentito chiamato in causa.
Nel libro sopra citato l'approfondimento su come e quando
l'ossessione per lo sport si manifesta non riguarda soltanto il
bodybuilding e coloro che ricercano in maniera spasmodica l'incremento
delle masse muscolari, ma anche quello che accade in altre discipline
sportive, dal running agli sport estremi, sino al
ciclismo. Alcuni degli atteggiamenti descritti infatti possono ritrovarsi anche in altri tipi di soggetti sportivi.
Chi ama il ciclismo e lo pratica con assiduità sarà attento alla
propria alimentazione, cercherà di essere costante negli allenamenti e,
in alcuni casi, potrà sentirsi più o meno attratto dagli anabolizzanti o
spingersi ad utilizzarli. Cosa differenzia questo atteggiamento e
l'eventuale esasperazione che si può successivamente sviluppare rispetto
a processi simili messi in atto da chi pratica body building?
L'assunto "
sport uguale salute" persiste anche negli
atteggiamenti più distorti, uno sportivo compulsivo è convinto d'avere
un organismo indistruttibile, proprio perché capace di sopportare enormi
volumi di
allenamento, di fare sforzi e sacrifici che ritiene necessari, ignorando i messaggi che il corpo invia
2.
Ma cosa accade quando ci si scontra con una realtà diversa? E perchè
affermiamo che l'ossessione per una disciplina sportiva è cosa ben
diversa dai sacrifici che
giustamente e inevitabilmente occorre
fare se si persegue un risultato? Alcune tragiche vicende della cronaca
possono probabilmente essere più esplicative di mille discorsi di natura
teorica. Un dirigente britannico di 45 anni ad esempio è morto per una
overdose di aspirina,
e uno dei migliori corridori di New York si è suicidato lanciandosi
dalla finestra. Nelle spiegazioni lasciate prima del gesto estremo ha
voluto comunicare che la sua vita non aveva più un senso poiché non
avrebbe potuto continuare a correre a causa di una lesione al ginocchio
3.
Eventi di questo tipo accadono a tutte le latitudini, il 23 ottobre
2011 Kavita Bajeli-Datt scrive sul Daiji World che in una sola settimana
in India si sono registrati 2 decessi riconducibili all'esercizio
fisico compulsivo, un manager quarantaduenne e una giovane modella.
Certo si tratta davvero di casi estremi, ma anche la percentuale di chi è
ossessionato dallo sport è fortunatamente
molto minoritaria rispetto agli sportivi in genere.
Per questo anche l'eccessivo allarmismo, e l'immediato desiderio di
difendere il proprio stile di vita ritenendo che questo genere di
approfondimenti siano un attacco all'attività sportiva e alla metodicità
richiesta è sbagliato. Non è un
processo al ciclismo, al body
building, al fitness, al mangiar sano. Semmai un monito affinchè regole e
principi non divengano imperanti atteggiamenti capaci di stravolgere la
vita di un appassionato.
Volendo mettere da parte questi casi limite, alcuni dati statistici
di eventi certamente più "leggeri" (perlomeno rispetto ad un suicidio)
segnalano ad esempio che il 40% di chi corre più di 110 km a settimana
ed è sposato finisca col divorziare
4. Come dire che oltre una
certa quantità di tempo, al crescere ulteriore dell'interesse e della
dipendenza dal bisogno di svolgere attività fisica, diminuisce
l'interesse per altri aspetti della propria vita privata, al punto che
perfino il rischio di rottura del proprio matrimonio appare meno gravoso
rispetto al
timore di non allenarsi nel modo e nei tempi
ritenuti opportuni. Si tenga sempre presente poi che non si sta parlando
si sportivi professionisti, cui la performance sportiva e l'allenamento
costituiscono di fatto un lavoro, ma di appassionati alla disciplina
che, proprio perché costretti a praticarla nelle ore non lavorative,
finiscono col sottrarre tempo e attenzioni a tutto il resto.
Dunque non solo il bodybuilding alla sbarra degli imputati capaci di
favorire la dipendenza da sport, sebbene sia probabilmente quello che
riveste una posizione di vertice ma anche il ciclismo e le discipline
di lunga durata in genere possono costituire un fertile terreno.
Il meccanismo è ben spiegato da Ferrari (2011) il quale segnala come
il ciclismo non è un gioco, come il calcio ad esempio, che racchiudendo
una componente ludica facilmente porta ad una pratica anche molto
prolungata, viene praticato in gruppo ma non è una disciplina di squadra
nella comune accezione, può dar luogo a impegni fisici della durata di
numerose ore, e quindi richiede un elevato grado di concentrazione su
quello che si sta compiendo, non
accetta distrazioni.
La fatica fisica aiuta a "spegnere" le funzioni mentali poco utili
allo sforzo ed è proprio questo stato mentale una delle motivazioni che
spinge ad uscite in bicicletta sempre più durature, poiché si vive una
condizione di benessere e sollievo. Se scatta il processo di
assuefazione è facile andare incontro a conseguenze drammatiche, poiché
la ricerca dell'effetto spinge a sessioni progressivamente più
prolungate.
È sempre difficile parlare in modo specifico di una disciplina,
poiché fin tanto ci si mantiene su un livello di discussione fatto "in
generale" si è più
disposti ad accettarlo.
Analizzare le singole attività sportive fa inevitabilmente irrigidire
appassionati e praticanti che, sentendosi chiamare in causa, si
arroccano sulle proprie posizioni. È bene ribadire nuovamente quindi che
in questa sede si fa sempre riferimento ad
atteggiamenti estremi,
patologici, che nulla hanno a che vedere con un sano allenamento in
sella ad una bici, o di corsa con le scarpe da running ai piedi. Running
che con il ciclismo ha numerosi punti in comune, soprattutto con
riferimento a chi frequentemente si sottopone a sessioni estremamente
lunghe, a prescindere dal reale risultato agonistico, che spesso non è
neppure l'obiettivo dell'allenamento, poiché in questo caso ci si allena
per il bisogno di allenarsi, non di rado con sessioni più lunghe e
frequenti di quelle che seguono gli stessi professionisti.
Il ciclismo quindi, al pari del running, possiede le caratteristiche
per poter essere ritenuto "a rischio" per quanto attiene la possibilità
che insorga una
condizione di dipendenza. Relativamente alla
corsa anche in questo caso sono numerosi quelli che si spingono a
volersi cimentare con tracciati da ultramaratona, che superano
abbondantemente i 50km, e talvolta raggiungono i 100Km. Si tratta di
impegni fisici che nulla hanno a che vedere con la ricerca di uno stato
di benessere ed efficienza fisica, e che probabilmente occorre iniziare a
leggere in senso opposto.
Ossia
non si è in buona forma fisica perché si corre così a lungo, ma si corre così a lungo perché si è in buona forma fisica, ovvero non ci si è ancora fatti male in modo irreparabile.