il tram della comasina

martedì 20 ottobre 2015

Ciclismo: se l'ossessione del risultato diventa una malattia

Oggi in prima pagina su "La Repubblica" un interessante articolo affronta il tema della magrezza esasperata nel mondo del ciclismo nell'estrema ricerca di un miglior rapporto peso-potenza. Una tendenza al dimagrimento che comincia a sfiorare l'ossessione. Nello stesso articolo il dott. Giuliano, medico sportivo, afferma che l'esasperazione di questa tendenza può portare a patologie psichiatriche, come già successo in passato1. È facile che l'ossessione verso un risultato di natura sportiva, magari unito al desiderio di una percezione estetica ritenuta "migliore" possa indurre a valicare quella linea di confine oltre la quale lo sport smette di essere una sana passione, o una sana competizione, anche di alto livello, per diventare esso stesso l'avversario contro cui battersi.
In queste circostanze è facile che l'ossessione per l'attività fisica degeneri anche nel problematico abisso dei disordini alimentari e l'abuso di farmaci. Ne avevamo recentemente parlato su NonSoloFitness.it in occasione dell'uscita del libro "Vigoressia, quando il fitness diventa ossessione", con un articolo dal titolo emblematico 60.000 Italiani malati di fitness che, a fronte di un gran numero di commenti e richieste di approfondimento, aveva portato anche qualche critica da parte di chi superficialmente si è sentito chiamato in causa.
Nel libro sopra citato l'approfondimento su come e quando l'ossessione per lo sport si manifesta non riguarda soltanto il bodybuilding e coloro che ricercano in maniera spasmodica l'incremento delle masse muscolari, ma anche quello che accade in altre discipline sportive, dal running agli sport estremi, sino al ciclismo. Alcuni degli atteggiamenti descritti infatti possono ritrovarsi anche in altri tipi di soggetti sportivi.
Chi ama il ciclismo e lo pratica con assiduità sarà attento alla propria alimentazione, cercherà di essere costante negli allenamenti e, in alcuni casi, potrà sentirsi più o meno attratto dagli anabolizzanti o spingersi ad utilizzarli. Cosa differenzia questo atteggiamento e l'eventuale esasperazione che si può successivamente sviluppare rispetto a processi simili messi in atto da chi pratica body building?
L'assunto "sport uguale salute" persiste anche negli atteggiamenti più distorti, uno sportivo compulsivo è convinto d'avere un organismo indistruttibile, proprio perché capace di sopportare enormi volumi di allenamento, di fare sforzi e sacrifici che ritiene necessari, ignorando i messaggi che il corpo invia2.

Ma cosa accade quando ci si scontra con una realtà diversa? E perchè affermiamo che l'ossessione per una disciplina sportiva è cosa ben diversa dai sacrifici che giustamente e inevitabilmente occorre fare se si persegue un risultato? Alcune tragiche vicende della cronaca possono probabilmente essere più esplicative di mille discorsi di natura teorica. Un dirigente britannico di 45 anni ad esempio è morto per una overdose di aspirina, e uno dei migliori corridori di New York si è suicidato lanciandosi dalla finestra. Nelle spiegazioni lasciate prima del gesto estremo ha voluto comunicare che la sua vita non aveva più un senso poiché non avrebbe potuto continuare a correre a causa di una lesione al ginocchio3.
Eventi di questo tipo accadono a tutte le latitudini, il 23 ottobre 2011 Kavita Bajeli-Datt scrive sul Daiji World che in una sola settimana in India si sono registrati 2 decessi riconducibili all'esercizio fisico compulsivo, un manager quarantaduenne e una giovane modella. Certo si tratta davvero di casi estremi, ma anche la percentuale di chi è ossessionato dallo sport è fortunatamente molto minoritaria rispetto agli sportivi in genere.
Per questo anche l'eccessivo allarmismo, e l'immediato desiderio di difendere il proprio stile di vita ritenendo che questo genere di approfondimenti siano un attacco all'attività sportiva e alla metodicità richiesta è sbagliato. Non è un processo al ciclismo, al body building, al fitness, al mangiar sano. Semmai un monito affinchè regole e principi non divengano imperanti atteggiamenti capaci di stravolgere la vita di un appassionato.
Volendo mettere da parte questi casi limite, alcuni dati statistici di eventi certamente più "leggeri" (perlomeno rispetto ad un suicidio) segnalano ad esempio che il 40% di chi corre più di 110 km a settimana ed è sposato finisca col divorziare4. Come dire che oltre una certa quantità di tempo, al crescere ulteriore dell'interesse e della dipendenza dal bisogno di svolgere attività fisica, diminuisce l'interesse per altri aspetti della propria vita privata, al punto che perfino il rischio di rottura del proprio matrimonio appare meno gravoso rispetto al timore di non allenarsi nel modo e nei tempi ritenuti opportuni. Si tenga sempre presente poi che non si sta parlando si sportivi professionisti, cui la performance sportiva e l'allenamento costituiscono di fatto un lavoro, ma di appassionati alla disciplina che, proprio perché costretti a praticarla nelle ore non lavorative, finiscono col sottrarre tempo e attenzioni a tutto il resto.
Dunque non solo il bodybuilding alla sbarra degli imputati capaci di favorire la dipendenza da sport, sebbene sia probabilmente quello che riveste una posizione di vertice ma anche il ciclismo e le discipline di lunga durata in genere possono costituire un fertile terreno.
Il meccanismo è ben spiegato da Ferrari (2011) il quale segnala come il ciclismo non è un gioco, come il calcio ad esempio, che racchiudendo una componente ludica facilmente porta ad una pratica anche molto prolungata, viene praticato in gruppo ma non è una disciplina di squadra nella comune accezione, può dar luogo a impegni fisici della durata di numerose ore, e quindi richiede un elevato grado di concentrazione su quello che si sta compiendo, non accetta distrazioni.
La fatica fisica aiuta a "spegnere" le funzioni mentali poco utili allo sforzo ed è proprio questo stato mentale una delle motivazioni che spinge ad uscite in bicicletta sempre più durature, poiché si vive una condizione di benessere e sollievo. Se scatta il processo di assuefazione è facile andare incontro a conseguenze drammatiche, poiché la ricerca dell'effetto spinge a sessioni progressivamente più prolungate.
È sempre difficile parlare in modo specifico di una disciplina, poiché fin tanto ci si mantiene su un livello di discussione fatto "in generale" si è più disposti ad accettarlo.
Analizzare le singole attività sportive fa inevitabilmente irrigidire appassionati e praticanti che, sentendosi chiamare in causa, si arroccano sulle proprie posizioni. È bene ribadire nuovamente quindi che in questa sede si fa sempre riferimento ad atteggiamenti estremi, patologici, che nulla hanno a che vedere con un sano allenamento in sella ad una bici, o di corsa con le scarpe da running ai piedi. Running che con il ciclismo ha numerosi punti in comune, soprattutto con riferimento a chi frequentemente si sottopone a sessioni estremamente lunghe, a prescindere dal reale risultato agonistico, che spesso non è neppure l'obiettivo dell'allenamento, poiché in questo caso ci si allena per il bisogno di allenarsi, non di rado con sessioni più lunghe e frequenti di quelle che seguono gli stessi professionisti.
Il ciclismo quindi, al pari del running, possiede le caratteristiche per poter essere ritenuto "a rischio" per quanto attiene la possibilità che insorga una condizione di dipendenza. Relativamente alla corsa anche in questo caso sono numerosi quelli che si spingono a volersi cimentare con tracciati da ultramaratona, che superano abbondantemente i 50km, e talvolta raggiungono i 100Km. Si tratta di impegni fisici che nulla hanno a che vedere con la ricerca di uno stato di benessere ed efficienza fisica, e che probabilmente occorre iniziare a leggere in senso opposto.
Ossia non si è in buona forma fisica perché si corre così a lungo, ma si corre così a lungo perché si è in buona forma fisica, ovvero non ci si è ancora fatti male in modo irreparabile.

Autore: